Il conducente dell’autobus di linea Napoli-Acerra è stato denunciato perché ogni sera fermava il mezzo sotto casa e saliva a mangiare un piatto di spaghetti. È incredibile, signori della Corte, fino a che punto possa spingersi la mano acida della giustizia. Immaginate quell’uomo, stretto dai morsi della fame, mentre al culmine di una dura giornata di lavoro arresta il bus su un lato della strada, avendo cura di lasciare il motore acceso e le porte aperte, affinché l’inquinamento penetri democraticamente anche all’interno. Sale di corsa le scale ed entra in tinello, sognando di togliersi le scarpe e di dare una carezza ai bimbi più piccoli. Invece i ritmi inumani dell’esistenza lo costringono a sedersi subito a tavola per aggredire la spaghettata che la moglie, avvertita tramite telefonino, ha testé scolato. L’onesto lavoratore vorrebbe almeno fare scarpetta e concedersi ‘na tazzulella ‘e cafè. Ma il dovere chiama. Eccolo correre giù dalle scale, col cuore in gola e un certo peso sullo stomaco: rimonta sull’autobus e riprende il safari fra le meraviglie della periferia napoletana.
Signori della Corte, se proprio si vuole dare una colpa all’imputato, forse avrebbe dovuto dire alla moglie di calare due chili di spaghetti in più, invitando al suo desco pure i passeggeri. I quali avrebbero integrato volentieri il prezzo della corsa con un supplemento per la pummarola. La sua, in fondo, è stata una forma di timidezza. Pertanto chiedo che gli venga applicato il lodo Alfano. Al dente e ben condito.