Gli africani salveranno Rosarno, scriveva nel 2009 Antonello Mangano. Perché “i migranti contro la mafia sono più coraggiosi di noi”, spiega da tempo Roberto Saviano. Nel frattempo gli africani provano a salvarsi da soli dalle spranghe, dai fucili ad aria compresse, dalle pistole vere. Il sangue sulle arance che abbiamo portato in piazza a Roma il 12 gennaio per indicare che Rosarno è un caso nazionale, è sangue rappreso. Sangue vecchio. Scorre da anni, senza sporcare le coscienze. Il Dossier “Arance insanguinate” prova a seguirne il tragitto. Rosarno è già un inferno nel 2006 (Alessio Magro, Il Manifesto, 2006). La “caccia al nero” è già tradizione locale nel 2007 (Marco Rovelli, Carta, 2007). Come pure i tentativi di estorsione e lo sfruttamento (Gli ivoriani puniti per avere detto no al pizzo, Gazzetta del Sud, 2008). Nel dicembre 2008, dopo il ferimento di due giovani della Costa d’Avorio, i migranti urlano ai rosarnesi, agli italiani, “stop killing blacks” (prima rivolta). Nel gennaio 2010 non fanno che ripeterlo con più rabbia (seconda rivolta).

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