Puoi costruire qualcosa di bello anche con le pietre che trovi sul tuo cammino
(J.W. Goethe)
Scale mobili, tapis roulant, macchine, motorini, treni, bus, aerei. Quali sono le occasioni in cui ancora riutilizziamo i nostri piedi per camminare? La domanda sembra banale, ma è sostanziale perché usando tutti i mezzi a nostra disposizione difficilmente si conosce davvero qualcuno.
Camminare significa infatti aprirsi al mondo. E’ un’esperienza che talvolta ci muta rendendoci più inclini a godere del tempo e non a sottometterci alla fretta che governa la vita degli uomini del nostro tempo. Camminare consente poi di percepire totalmente la realtà, di farne pienamente esperienza lasciando all’uomo l’iniziativa; in treno usiamo lo sguardo, ma nel cammino c’è una vera sinfonia dei nostri sensi! La peregrinatio nel nostro mondo è sempre meno ascesi volontaria, esercizio di spiritualità. Il pellegrinaggio, invece, è una perenne devozione a Dio, una lunga preghiera fatta con il corpo. E’ infatti sempre una ricerca di spiritualità a spingere i pellegrini a mettersi in cammino.
Sono queste le idee che regolavano la mia vita prima del pellegrinaggio con la Cappella a Monte Oliveto, il mio motto era sempre stata una splendida frase di Alexander Langer:”Io vi propongo: lentius, più lento, profundius, più profondo, suavius, più dolce. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però si ottiene un fiato più lungo”.
Potete credere che siano frasi fatte, di un romanticismo trapassato, ma se aveste percorso i chilometri che dividono Siena da Monte Oliveto forse mi capireste. E’ tutto vero, la realtà è questa non quella che vediamo negli spot con le belle donne e i macchinoni. E può capitarti così di pensare: “poverette non sanno cosa si perdono” mentre percorri una strada sudato e dolorante e una Ferrari con due biondone ti salutano. Alla fine di un viaggio, poi, dopo ore e giorni di lento procedere, i passi si affrettano o si fanno più pesanti, a seconda del desiderio di ritrovare gli altri, di riprendere la vita normale momentaneamente messa da parte. E che cosa importa dell’esito del cammino se ciò che conta è solo il fatto di averlo percorso! Nel modo in cui un fiume, pur seguendo un percorso tortuoso, continua a cercare, e con ostinazione, la strada più breve che porta verso il mare, così il pellegrino cerca il Signore. Scrivere di questo pellegrinaggio è stato come ripercorrerlo una seconda volta, l’ennesimo dono, come un dono è ogni passo e ogni volto che Dio ci mette davanti ogni giorno e noi ci passiamo accanto disinteressati abituati a fare sempre più incetta di immagini e false emozioni davanti ai nostri pc.
Non siamo noi che facciamo il viaggio, è il viaggio che ci fa e ci disfa e ci inventa. E se qui il mio articolo si conclude, l’ultima parola è soltanto una tappa lungo il percorso. La pagina bianca è sempre una soglia. Per fortuna la vita ci darà altre occasioni per ripartire, come la settimana in montagna, certi che la terra è fatta più per i piedi che per i pneumatici, e che fintanto che abbiamo un corpo tanto vale servirsene bene! ■