I dati sulla disoccupazione
Ieri sono arrivati i dati sulla disoccupazione e chi se ne intende ha lanciato l’allarme. Da sei anni non arrivavano cifre così preoccupanti sulla disoccupazione giovanile, giunta ormai alle soglie della fatidica quota trenta per cento. Nessuno però ha fatto l’esercizio, a mio avviso utile, di mettere insieme tutti i dati riguardanti la generazione degli under 40 di questo paese, a cui spetta l’ingrato compito di pagare il prezzo di tutti i dissesti provocati dal folle incedere della spesa pubblica italiana.

Non sono “i giovani”
Mettendo insieme tutti i dati a disposizione si comprende che il prezzo non lo stanno pagando banalmente “i giovani”, anzi non si può neanche ridurre questo supplizio come affittivo per una sola generazione. Sono almeno tre quelle messe in condizione di estrema sofferenza: i nati negli anni Settanta, negli anni Ottanta e negli anni Novanta sanno già che saranno esposti a una vita lavorativa fatta di precariato non meritocratico e a una vecchiaia che qualsiasi dato oggettivo non può che definire di estrema povertà.

I nati dopo il primo gennaio 1970
Chi è nato dopo il primo gennaio 1970 ha subito in pieno le conseguenze della riforma Dini del 1995 che ha consentito ai padri di continuare ad andare in pensione con il novanta per cento dell’ultima retribuzione, anche prima dei sessant’anni, intascando il trattamento di fine rapporto, mentre ai figli ha lasciato una pensione che si aggira attorno al cinquanta per cento dell’ultimo stipendio con l’aggravante dello scippo del Tfr. In questi giorni i sindacati sono allarmati per chi andrà in pensione nel 2016, volendo sempre attorno ai sessant’anni, mentre non battono ciglio davanti ai giovani che per le tabelle ministeriali dovranno andare in pensione a settant’anni.

Come funziona la solidarietà intergenerazionale
Un giovane su tre è disoccupato, subisce inoltre manovre che da anni picchiano sul precariato in particolare della pubblica amministrazione, viene defraudato di ogni minimo criterio di equità in materia previdenziale, i suoi miseri stipendi da collaboratore vengono gravati di un balzello Inps la cui gestione separata con centocinquanta miliardi di euro l’anno viene usata per pagare le pensioni di gente che ci è andata magari a quarant’anni.
Questa viene definita solidarietà intergenerazionale. E no, ho sbagliato, non sono i giovani a pagare questo prezzo. Sono tutti i nati dopo il 1 gennaio 1970. Che, per inciso, sono ventotto milioni di italiani. La metà del paese, ormai. Una metà che purtroppo sta su Facebook, chiede la paghetta a papà e nonno pensionati, rinuncia a lottare e si consegna così ai carnefici. In silenzio, senza dare fastidio.

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